Critica

Una scatola di colori ricevuta in dono dal padre: un’esperienza dei primi anni, ricca di fascino e di stimolante interesse che si perde quasi sempre nel mare dei ricordi, che restano più legati alle vicende della giovinezza.
Remo Parise focalizza però con lucidissima precisione questo episodio, rievocandone i particolari, anche se allora non ebbe alcun seguito concreto che potesse giustificare la validità di un’ancora inconscia evidenza. Questo ricordo, tuttavia così vivo, da conservare intatto l’entusiasmo del bambino di allora, denuncia il modo equivocabile la segreta passione che Parise ha portato per tanto tempo dentro di se; il suo dialogo con il colore è infatti iniziato tardi, nella maturità, ed è stato subito spontaneo, aperto, senza condizionanti indugi cerebrali.
Dipingere è stato sempre per Parise l’occasione di un incontro con l’ambiente e con i suoi aspetti più semplici, di cui sa rendersi interprete sincero, afferrandone i motivi più intimi, che emergono dalle sue tele con una sottile venatura di malinconia.
Specialmente nel suo periodo iniziale, il pittore è attratto da qualsiasi motivo che si pone alla sua attenzione, senza limiti di soggetto e di espressione, affidando al colore la sua visione e il suo sentimento; poi si raccoglie verso temi che incomincia a prediligere e che egli traduce con una evidente carica emotiva.
La sua tavolozza è ricca di tinte robuste, obbedienti ai rapidi tratti del pennello, portato alla subitanea impressione del momento che le circostanze suggeriscono all’aperta e rispondente sensibilità dell’artista.
Quegli scorci notturni, attraversati da silenziose e sguscianti figure o da trottanti carrozzelle, che assumono il significato quasi di simbolo, anche se diversamente rielaborate restano sempre ancorati al tema di fondo e soffusi di un dolce rimpianto.
Luce e colore sono trattati con un’abilità sorprendentemente intuitiva e costituiscono la caratteristica avvalorante del linguaggio di Parise, realizzato con forza espressiva che si articola in composizioni inaspettate dove luci e ombre trasformano la sua poesia in una sinfonia cromatica che si adatta, attraverso inappuntabili capovolgimenti, agli angoli più intimi della vecchia Bologna, agli squarci di una campagna assolata o al solitario sentiero attraverso un bosco, fiancheggiato da un canoro torrentello,
Se si fa tuttavia eccezione per talune tele del periodo dell’esordio, l’artista resta sempre coerente e il tratto deciso del suo pennello, e la magica dimensione impressa alle luci si ritrovano in quegli affascinanti notturni, che restano certamente alla base del favore tributatogli dal pubblico e dalla critica, come nei paesaggi agresti o montani bagnati dalla luce meridiana che nella sua realtà vela lievemente l’orizzonte.
Parise fissa sulla tela ogni emozione che l’ambiente circostante gli sollecita: una donna intenta a lavare offre l’occasione per un potente taglio dell’interno con la grossa porta socchiusa su tre alti e viscidi scalini; la moglie che appare sulla soglia dello studio con la bambina al collo; le barche ormeggiate nel porticciolo adriatico; un treno fuggente ingoiato dalla notte.
L’immediatezza emotiva che anima l’artista è confermata da una visione sia pure superficiale dei suoi bozzetti: idee che spesso escono dalla tela irrobustite dal sapiente dosaggio del colore.
L’umanità semplice e pensosa che rende così ricco di interesse il dialogo con Remo Parise è riflessa nella sua pittura che cerca con insistenza angoli remoti, muti vicoli e scheletriche palafitte di pescatori, per effondere su queste immagini quella sua malinconia che non è, però, tristezza. Anche quando rievoca la vecchia Bologna, egli non si lascia mai andare ad una sterile dialettica antiquaria: è solo uno sguardo al passato che forse riavvicina il ricordo di quella scatola di colori ricevuti da bambini.
Ma il profilo di questo pittore non è da ritenersi concluso.
Distaccato da ogni richiamo di speculazioni remunerative ed animato esclusivamente dalla pura passione così a lungo celata, Remo Parise ha ancora il tempo di imporre nuovi effetti al malinconico lirismo della sua tavolozza.

(Mario Petrassi)

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Ci sono artisti che si presentano al pubblico con un discorso già iniziato e all’osservatore non rimane che continuare questo dialogo fatto di luci, di ombre, di spezzature, di sofferenza così ben disposta che la poesia cammina all’unisono con esse. Entrando nello studio di Remo Parise sono accolta da una girandola di quadri: alcuni accostati in terra, alcuni appesi, altri pronti per una mostra. E lui, Il Maestro, l’uomo semplice che condisce ogni cosa con una sonora risata (alla bolognese) è lì, sensibile e buono, semplice e profondamente umano, consapevole (forse sì o forse no) di essere l’unico a riproporre questa stupenda vecchia Bologna nelle ore più tranquille della notte che precede l’alba. Ed è qui che Parise si confessa, in questi globi di luce che sembrano scappati alla sua pennellata e appoggiati proprio nel punto giusto. Una grande poesia di luci, un arcobaleno di sentimenti che sprigionano dalle finestre appena accostate e dalle quali traspare qualche riga di luce dalle imposte socchiuse. Dal tram, forse anche l’ultimo tram del meritato riposo, dalla carrozzella, dal negozio, dal ponte, dalla viuzza più remota e tanto cara. Non è impresa facile proporre queste impressioni e godere del clima che l’artista riesce a soffondere nella sua opera. Bologna è una città di una bellezza struggente, tenera, popolana, strutturalmente difficile da imprigionare, una città che porta nel suo grembo pietre e cotto, mattoni rossi e pietre bianche. Parise ha compreso questo connubio di sostanze, le ha manipolate a suo piacimento: ha intuito queste apoteosi un poco fuggevoli, ma tanto friabili ed ha appoggiato il suo occhio su impressioni quasi fuori tempo, in un suo “cerchio” dove tutto sembra sospeso e la luce svapora e si rapprende in fumi incantevoli. E il cielo quando al luce è calata si rischiara laddove il sole dovrà poi sorgere. Ed è tutta un’intonazione fresca che raccoglie come la madre il figlio, le luci che evaporano da ogni angolo e dalle finestre. Talvolta la tacita e blanda armonia di Parise si rifà con i volti, le figure, ma i notturni sono la sua grande passione. Una ricerca infinita che egli, forse non concluderà mai. Nato con la passione nel sangue, qui nel suo studio in via Mondo 39 a Bologna, egli si libra negli spazi aerei della notte per riprodurre quelle campiture, quelle luci, quelle impressioni che sembrano essere sospese in uno spazio infinito laddove la suggestione e la gioia prorompono in una bellezza immortale. Egli isola il suo “dire” in un eremo solo suo perché vissuto con un amore e una speranza di qualche cosa di vero.

(Maria Verzelletti)

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La trasfigurazione estetica delle forme impostaci dalle moderne correnti pittoriche, ha rotto quel rapporto che esisteva tra opere d’arte e fruitore, si che quest’ultimo avverte davanti ad un quadro un senso di moto asfittico, disgregazionato in un pathos cosmico razionalmente costruito e individuato, che umilia il dialogo in un’atmosfera di quasi-autosdistruzione. Ricordo ancora le parole dell’amico Pierre Restany a Parigi: “ un oggetto può certo caricarsi, per suggestione o per magia, di valori fascinosi, significati simbolici, di premonizioni ineffabili, e questo è il discorso critico costante della esegesi moderna, ma soltanto quando è creatura subisce in pieno al metamorfosi dello spirito che lo sottrae alla oggettività. Solo allora è in grado di parlare con l’uomo, di stabilire un dialogo senza confini e senza tempo. Ora la nostra civiltà e la nostra cultura sono colme, fin sature spesso ossessionate, di oggetti e straordinariamente povere di creature poetiche”. Nelle risultanze formali e coloristiche, alle quali perviene Remo Parise, subito ci si accorge che alla base d’ogni raggiungimento e d’ogni significazione v’è un’esistenza espressiva che decisamente esclude qualsiasi stilistica ricercatezza, ogni calcolato rapporto per asserire una particolare condizione di racconto che ama affidarsi ad una primitivistica ruvidezza, ad una rudimentalità, quasi, di elementi pittorici in cui l’autore rinviene le migliori possibilità di realistica estrinsecazione. Nascono così scorci notturni di Bologna, vie e luoghi caratteristici, figure umane senza volto, senza pensieri, avvolti in una luminosità acquafortista, che esprimono un particolare stato d’animo che è sensazione di velata tristezza voluta da una inspiegabile malinconia. E’ voglia di ricordi, ripensamenti per ogni sensazione provata, nostalgia per quanto non può ritornare. Nelle tele di Remo Parise, condotte con colori drastici, con toni monocromatici, si avverte il peso di un’immensa tristezza che sembra premere sul cuore del mondo, il suo mondo, che batte a fatica, come impregnato e gonfio di pianto che non potrà mai essere pianto tutto. Accanto a una sua “personale vena notturna” ne troviamo un’altra “chiaristica” : è un dolce intermezzo, è un sesquipedale ripensamento della coscienza. La percezione della vita si confonde con quella del tempo, scivola lieve nei ricordi, con intonazioni di una malinconia sottile, quasi duttile. Insomma Remo Parise ci offre temi poetici intensamente sentiti, rifuggendo dai manierismi per valorizzare i valori mentali dell’ispirazione. In altri termini Parise giunge all’arte con chiarezza di metodo, con disciplina anche quando la pittura sembra suggerita ad un immediato impulso visionario. In lui è la conduzione di tutto un processo liberatorio, accorto, in modo da rendere più libero il linguaggio, in una libertà che è coerenza di stile e quindi una conquista che gli permette di esprimere una simbiosi di tristezza e di malinconia.

(Giuseppe Chieco)

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Il ricordo, la memoria, sono le note principali dell’opera di Remo Parise, teso nella ricerca (sono le sue parole) di un mondo che possiamo non trovare più in luoghi facili e scontati, ma che non è per questo meno reale, meno prezioso, perché appartiene a ciò che di più importante appartiene all’uomo: le proprie radici .
Così, con precisione metodica, il Parise sembra prenderci per mano, e condurci verso situazioni oserei dire primordiali, ataviche, in luoghi segreti, incantati, dove regna la verità di una manualità importante, attraverso vicoli e oscure botteghe sempre animate da luce di albe e crepuscoli, dall’ultimo lampione che sta per spegnersi e dal primo che sta per accendersi.
Questa diventa quindi la nostra situazione: messi a parte di un sapere che vale in quanto pratico e vuole arrivare ad una conclusione positiva, una coscienza del proprio io più profondo in una realtà in cui il progresso è soltanto il sogno di aumentare infinitamente il nostro potere.
A questa presunzione, sembra opporsi l’opera del pittore, così, che esso sia conforme esattamente al modello o che questo venga interpretato, come in effetti è il più delle volte, conferendogli una forma particolare, il Parise tende sempre verso una sensibilità, vuoi cromatica, vuoi di contenuto, che ci rivela un meccanismo di formazione grafica ben determinata.
Il richiamo al mondo dell’immagine sensibile ed evocativo è ben definito, e ben trasparente è un concetto di eternità, in opere che mantengono sempre la scioltezza e l’emozione comunicativa del disegno.
Così l’opera di Remo Parise contiene un messaggio ideologico ben preciso: l’artigiano di una volta che fondeva manualmente nel suo lavoro funzionalità e bellezza, sta lentamente scomparendo.
I suoi antichi attributi sono oggi divisi: l’operaio deve rispettare fedelmente progetti ben precisi, e l’artista, alleggerito di qualunque lavoro concreto, si sprofonda nell’estetismo fino a perdere ogni contatto con l’uomo comune.
In questa dicotomia si staglia ben precisa la sua produzione: egli stesso è un artigiano, lo stesso che discende dal pittore di bottega, e per ciò è naturale proporre proprio quegli aspetti artigianali di una quotidianità sempre più rara.
Di conseguenza e con estrema naturalezza, la sua opera, attaccata alle sue origini più sensibili, non è macchiata di astrazione, ma anzi prorompe spontanea non inficiata di ricette e definizioni.

(Mirella Occhipinti)

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Alla parete sono alcuni paesaggi notturni di Parise: mi sorprendo a pensare che, se all’improvviso venisse a mancare la corrente elettrica, la stanza rimarrebbe ugualmente illuminata. A tener lontano il buio basterebbe quel lampione appeso sopra la porta di un casolare, la lanterna di un vecchio “fiacre”, le lame di luce che escono da finestre socchiuse, il chiarore che si spande fra le colonne di un portico dell’antica Bologna. Questi quadri, in cui Parise raccoglie e trasforma pezzetti di città, angoli dimenticati, scorci di panorami ancora presenti o già scomparsi, non sono solo accostamenti di colore, ma composizioni inaspettate di luci e ombre. Remo Parise rifugge da ogni classificazione. Possiamo definirlo un figurativo? Forse sì se si considerano i tratti decisivi del suo pennello, capace di riprodurre le cose con precisione geometrica, fin nei più piccoli particolari. Ma il suo realismo è diverso, particolare, tutto intriso di poesia, filtrato attraverso i sentimenti e le emozioni. Il risultato è quella dimensione strana delle luci, dai giochi di ombre che si rincorrono sui muri, sulle carrozze, sui cavalli, che sembrano fuggire via lungo i vicoli e sotto le arcate dei portici. I notturni sono forse l’espressione più riuscita dell’arte pittorica di Parise. Ma altri suoi quadri sono bellissimi, seppure diversi da questi, come tecnica e come accostamenti cromatici, e più vicini alle tradizioni veriste. Sono i quadri che, nella continua ricerca di una formula poetica personale da trasferire sulla tela, hanno preceduto cronologicamente agli attuali notturni. Paesaggi aperti e luminosi; ritratti che assieme ai lineamenti riproducono la personalità del soggetto; fondali marini aggrovigliati, densi di alghe e di meduse: colori forti, intensi, definiti. Remo Parise è passato attraverso esperienze artistiche diverse. Figlio di uno dei più famosi incisori-cesellatori di Bologna, è egli stesso orafo e incisore, è anche ottimo scultore. Nell’ambito della pittura, ha affrontato con vastissima gamma di temi diversi, che hanno contribuito a perfezionare sempre più la sua tecnica e ad arricchire la sua vena poetica. Ora, nello studio di via Mondo, egli conserva tutta una serie di opere che, costituiscono un panorama completo delle sue metamorfosi, dei vari “momenti”, degli altri stili che di volta in volta ha adottato prima di arrivare a queste visioni notturne piene di luce.

(Gloria Tartari)

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“Remo Parise tipico pittore della vecchia scuola bolognese, per la scelta e l’impasto cromatico caratteristico dei vecchi maestri bolognesi e per la consumata tecnica pittorica, porta in sé il male esasperato dell’artista alla ricerca della luce, in una orchestra di chiaroscuri a volte precisi a volte soffusi in mille tonalità di morbida schiuma marina diffusa sulle cose. La sofferta ricerca della luce, irraggiungibile nelle mille infinite fantasie cromatiche nascoste nel reale, è il marchio di Parise, è la sua costante formale che trasforma il reale molteplice, come se il suo spirito creativo continuasse a nutrirsi sotto la materna penombra protettiva dei porticati della vecchia Bologna. Quando le porte e le finestre cieche delle viuzze senza termine e degli scorci tipici della Bologna di Parise, diventeranno la luce sfolgorante dell’estasi immaginata dall’Artista? Quando lo spazio orchestrato dal colore soffuso di luce, diventerà la sua piena luce? Quello sarà il “momento fermati” di Parise, che l’irraggiungibile immensità della materia cromatica lo conduce al sofferto cammino creativo dei bagliori luminosi. Se fosse possibile riunire in una grande immensa tela tutti i bagliori luminosi dei suoi notturni ma soprattutto l’esistenza e la vita della strada senza termine, sempre soffusa d’alba o di tramonto, sempre come protetta nella penombra del porticato bolognese, solo allora il grande sogno dell’immensa sinfonia di luci di Parise potrebbe essere in qualche modo realizzato. La sua continuità formale va ricercata nei mille bagliori di luce di mille tele, come nell’esaltazione drammatica e sofferente delle estasiate visioni caravaggesche.

(L.Morello – sociologo)

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Come nasce un’opera di Parise? I suoi quadri notturni: sosta nella strada al buio?
Questo è l’interrogativo che anch’io come tanti mi sono rivolto ed ho cercato di farmelo spiegare dall’artista…. A noi interessa sapere la tecnica che conduce il mestiere a conseguire l’appellativo di “arte”. Parise è individuo inquieto e si sposta frequentemente e viaggia molto, di Bologna poi conosce ogni angolo. Vuoi per combinazioni si ritrova sempre nella valigia una sanguigna e dei fogli di cartoncino. Ad ogni angolo, con una speciale inquadratura, lui abbozza senza curarsi se farà poi un quadro a olio con tale bozzetto, non importa, l’impressione l’ha avuta e quando quella sensazione si risveglierà lui le darà ampiezza e colore. Molti bozzetti hanno servito a questo uso, altri meno fortunati, ancora no, però non sono stati abbandonati. Per i notturni? Più semplice del previsto, per lui. La tela che l’operaio ha fatto un certo sforzo per renderla bianca, viene annerita e piano piano le scale cromatiche salgono fino alla luce pura, semplice no! Tutto questo per dare una valutazione dell’estro inquieto dell’artista che analizza, discute le sue tecniche è sempre in fermento però, è sempre condizionato da un carattere emotivo, ecco perché ogni sua tela porge un discorso a ritroso o avanzato come poesia dell’opera svolta. Ed ora assaggiamo un po’ la tecnica e la fluorescenza della sua tavolozza che abbinata alla pennellata sciolta e tagliente offre nei suoi quadri una notevole sintesi di colorista di stringata efficacia. Parise offre nei suoi notturni di Bologna una sua liberalità espressiva, basata principalmente sul valore del disegno dal vero, non arretra dinnanzi alla deformazione per amore dell’effetto lineare in ciò si denota il suo focoso temperamento di colorista e di realista appassionato. I suoi spontanei bozzetti ritrovati nella borsa da viaggio, si riscoprono sulla tela con i toni d’ombra calda e morbida con i riflessi azzurrini della luce lunare. In lui si apre una straordinaria padronanza di segno e di mestiere al limite del virtuosismo e della spavalderia. Il circo, gli zingari, le comari, sono quadri di sontuosi accordi cromatici. Lo spazio, gli esterni stessi, rivelati dalle notazioni luminose, hanno maggiore importanza dei personaggi che sono appena suggeriti; in definitiva la sua pittura è “contrasto cromatico” nel colore quanto mai gustoso, una espressione di realismo pungente e nei suoi notturni una materia pittorica cupa e splendente allo stesso tempo. Di Parise come pittore si potrà ancora scrivere ma meglio sarà se lo farà lui, in avvenire, con le sue opere future…..”

(Walter Nanni – 1976)

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”Remo Parise è innamorato della sua città, della sua Bologna, che interpreta non soltanto raccogliendo le immagini architettoniche del centro storico, ma strappando dalla memoria le immagini più caratteristiche di una Bologna scomparsa o che sta per scomparire. I vecchi mestieri, infatti, inseriti nell’atmosfera di quei luoghi porticati, di quei vicoli stretti, di quelle piazzette vegliate da icone negli angoli, ci fanno tornare indietro nel tempo a percorrere itinerari di sogno. Lo “spazzino” con la sua scopa, l’arrotino che pigramente pigia il pedale della mola, il “salghino” …tutti personaggi di un’epoca che non è poi così lontana ma che il progresso ha cancellato nella nostra giornata trasferendoli nella notte dei secoli. Personaggi che però vivono nell’animo di Remo Parise, che vivono nell’animo di tanti bolognesi, che fremono nell’intimo di quei giovani che si avvicinano alle opere del pittore bolognese scoprendo in esse un poco di storia dei propri padri e quindi se stessi. E la tavolozza di Parise è perfettamente indovinata per creare un’atmosfera di ricordi: quei colori scuri dai quali traspare comunque una grande serenità, ci portano indietro nel tempo, alla semplicità dell’esistenza, alla bellezza di una vita genuina e sincera, senza motori, senza illuminazione elettrica lungo le strade, ma con il grande legame, fra uomo e uomo, della solidarietà e dell’amore”

(Mauro Donini)

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“Remo Parise vuol dire “Bologna”: di lui si potrebbe sintetizzare l’opera tutta in quattro parole : un uomo una città. Ma non si tratta dell’amore nostalgico per una Bologna perduta nel cemento moderno, bensì d’una “riscoperta” che vuole essere testimonianza ed anche appagamento personale, quasi ad approfondire se stesso tramite la propria città. Il tema unico di Parise, perciò, va valutato in distanza: l’artista nasconde un uomo profondamente attaccato alle tradizioni del suo paese, teso a salvaguardarle, e se per il non bolognese rimane ardua, a tutta prima, la lettura degli scorci notturni, con la cordialità dell’emiliano che vuole spiegarsi. Parise accontenta l’interlocutore senza impegnare temi difficili, né cercando giustificazioni psicologiche : dice soltanto “amo la mia città, ed essa è il centro della mia ispirazione”. La sua Bologna notturna, (ma pensiamo un attimo : chi non potrebbe immaginarvi la propria città, magari in qualche scorcio interno…), vive così di luci improvvise, vorrei dire diventa come ferma nel tempo e nello spazio, profonda di ombrose prospettive: la Bologna di sempre, quella meno visibile, che solo un bolognese può conoscere. E davvero non c’è altra spiegazione di quella che ho detto poc’anzi:; una gelosia affettuosa per il proprio mondo, una voglia pacata di esporlo recandone figurazioni familiarmente vissute. E’ una Bologna artigiana, la sua, qualcosa a mezza strada tra la città e il paese : dove si mescolano molto semplicemente i ricordi e le realtà presenti. Allo spettatore, poi, il compito di immaginare la vita che pullula dietro quelle persiane e dentro quei portici raccolti d’ombre, agli angoli silenziosi tagliati da lame di luce… e c’è spazio e volontà per la fantasia….”

(Isabella Bietolini per la mostra alla Galleria Arcaini 7-29 ottobre 1978)

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“Guarda il il lume e considera la sua bellezza. Batti l’occhio e riguardalo, ciò di lui tu vedi, prima non era, e ciò che lui era non è più.
Questo scriveva “ Leonardo” nel trattato sulla pittura, questo si rivela guardando i dipinti di Parise come se tutta la sua pittura si retta in effetti dalla coscienza della mutevolezza della realtà fenomenica, le sue luci a volte morbide o scattanti lasciano intravvedere una fonte di luce a breve distanza e non riflettente da altre essenze di colore.
La sua luce deve essere intesa come forma intuitiva di spirito che avvalora e si rende palpabile solo a chi abbraccia l’ambiente; così Parise, forse ha intuito che pur dipingendo anche come chiarista trova più adeguata la sua vena del “notturno” per la sua concezione di morbidezza del colore e non del disegno.
Artista puro che vive d’intuito e di sapienza naturalistica a trovato “l’estro” delle luci come i grandi pittori del cinquecento.
I suoi chiaro scuri hanno la forza espressiva che si può trovare solo con il notturno; nella sua pittura, il colore non è più sottomesso alla forma, cioè al disegno o al chiaro scuro stesso in compiture circoscritte, ma è assunto come l’elemento fondamentale della composizione di cui genera la forma, mentre a esso si intona la luce che lega i campi cromatici.

(Walter Nanni)

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L’attuale attività di Remo Parise proviene da una serie numerosa, eclettica, variamente impegnata di sperimentazioni, tentativi accompagnati da un dinamismo che si trova raramente negli artisti del pennello in genere più propensi a recitare la parte degli incompresi. Parise senza complessi d’inferiorità a rischiato, è stato pronto a pagare di persona senza lasciarsi dietro una possibile ritirata.
Ha accredito con la sua vitalità il difficile mestiere del pennello. Si è chiuso nello studio quando era necessario ma non ha esitato a buttarsi nella contesa con mille altri artisti più esperti, più protetti, esponendo ovunque fosse possibile, nei concorsi, nelle estemporanee. L’esperienza gli ha insegnato molto. Il confronto diretto lo ha stimolato indotto anche, ad un certo punto, ad indagare dentro se stesso per riscoprire la vena più ricca la parte migliore. Libero perché accanto alla pittura esercita un’altra attività, in certo qual modo congeniale, dovendo usare un discernimento basato sul buon gusto, egli ha potuto così sviluppare serenamente questa vena migliore e farla emergere in tutte le sue vibrazioni e con tutte le sue sfumature.
I numerosi precedenti tentativi, non tutti in vero ugualmente felici, lo hanno portato con il trascorrere del tempo, ad abbandonare le scorie di una certa retorica per rilevare in pieno la sua personalità più genuina e ciò almeno dal tempo della sua personale del 1968.
Il nutrito gruppo di opere dedicate a scorci notturni di città, campagne, vie e luoghi caratteristici mi pare il momento più centrato del suo lavoro per efficacia della figurazione che si rivela precisa e razionale, non senza un riscontro di poesia, negli scorci creati dalle luci notturne nei rapporti tra parti illuminate e parti in ombra, negli oggetti ora infuocati dalla piena luce ora sommessamente celati entro un’ombra mentre, sullo sfondo, troneggia un monumento, un palazzo che par che dorma, un bagliore notturno. Le fugaci apparizioni di persone danno calore umano a queste visioni, sono le persone della notte di cui si intravvede la figura ma non il volto, l’atteggiamento del corpo che solo ne rivela gli umori e i sentimenti. Una finestra che lascia trasparire un raggio di luce annota la presenza umana entro quei muri bui, nell’intimità della casa, raccolta attorno ad una calda sorgente di luce. Accanto a questa “vena notturna” ne possiamo riscontrare un’altra, ugualmente felice, che le fa un po’ da contraltare, che si compiace di descrivere con colori tenui ora nella delicatezza dei toni e delle pennellate, ora nel vigore dei colpi di spatola, le vari luci ed ombre del paesaggio. In queste luminose tele una certa aggressività quella che possiamo riscontrare nei galli, nei fondi marini, viene dominata e vi subentra una pacata serenità.
Tutte insieme, queste opere, ci narrano della varia arte di questo pittore, sempre sincero con se stesso allorché si pone davanti alla sua tela bianca, coerente nella sua spontanea interpretazione della natura, varia a seconda degli stati d’animo, mutevole così come cambia l’andare del tempo, della luce delle situazioni in cui si vengono a trovare le cose.

( Arrigo Grazia)

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L’attuale attività di Remo Parise proviene da una serie numerosa, eclettica, variamente impegnata di sperimentazioni, tentativi accompagnati da un dinamismo che si trova raramente negli artisti del pennello in genere più propensi a recitare la parte degli incompresi. Parise senza complessi d’inferiorità a rischiato, è stato pronto a pagare di persona senza lasciarsi dietro una possibile ritirata.
Ha accredito con la sua vitalità il difficile mestiere del pennello. Si è chiuso nello studio quando era necessario ma non ha esitato a buttarsi nella contesa con mille altri artisti più esperti, più protetti, esponendo ovunque fosse possibile, nei concorsi, nelle estemporanee. L’esperienza gli ha insegnato molto. Il confronto diretto lo ha stimolato indotto anche, ad un certo punto, ad indagare dentro se stesso per riscoprire la vena più ricca la parte migliore. Libero perché accanto alla pittura esercita un’altra attività, in certo qual modo congeniale, dovendo usare un discernimento basato sul buon gusto, egli ha potuto così sviluppare serenamente questa vena migliore e farla emergere in tutte le sue vibrazioni e con tutte le sue sfumature.
I numerosi precedenti tentativi, non tutti in vero ugualmente felici, lo hanno portato con il trascorrere del tempo, ad abbandonare le scorie di una certa retorica per rilevare in pieno la sua personalità più genuina e ciò almeno dal tempo della sua personale del 1968.
Il nutrito gruppo di opere dedicate a scorci notturni di città, campagne, vie e luoghi caratteristici mi pare il momento più centrato del suo lavoro per efficacia della figurazione che si rivela precisa e razionale, non senza un riscontro di poesia, negli scorci creati dalle luci notturne nei rapporti tra parti illuminate e parti in ombra, negli oggetti ora infuocati dalla piena luce ora sommessamente celati entro un’ombra mentre, sullo sfondo, troneggia un monumento, un palazzo che par che dorma, un bagliore notturno. Le fugaci apparizioni di persone danno calore umano a queste visioni, sono le persone della notte di cui si intravvede la figura ma non il volto, l’atteggiamento del corpo che solo ne rivela gli umori e i sentimenti. Una finestra che lascia trasparire un raggio di luce annota la presenza umana entro quei muri bui, nell’intimità della casa, raccolta attorno ad una calda sorgente di luce. Accanto a questa “vena notturna” ne possiamo riscontrare un’altra, ugualmente felice, che le fa un po’ da contraltare, che si compiace di descrivere con colori tenui ora nella delicatezza dei toni e delle pennellate, ora nel vigore dei colpi di spatola, le vari luci ed ombre del paesaggio. In queste luminose tele una certa aggressività quella che possiamo riscontrare nei galli, nei fondi marini, viene dominata e vi subentra una pacata serenità.
Tutte insieme, queste opere, ci narrano della varia arte di questo pittore, sempre sincero con se stesso allorché si pone davanti alla sua tela bianca, coerente nella sua spontanea interpretazione della natura, varia a seconda degli stati d’animo, mutevole così come cambia l’andare del tempo, della luce delle situazioni in cui si vengono a trovare le cose.

(Arrigo Grazia)

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La Bologna amata da Remo Parise non esiste ormai più che nella fantasia e di quanti tentano un impossibile recupero del buon tempo andato: quella che è argomento della maggioranza dei dipinti. E’ una città presumibilmente fine ‘800, colma di risonanze notturne, un po’ di maniera se vogliamo, ma dai muri trasudanti umanità. Quante storie mai sotto i bassi porticati umidicci e impregnati del sentore di povertà, dove il ciabattino si consuma gli occhi nella sua botteguccia e una figurina si sbieco gli fa alzare il capo per l’improvviso rumore dei tacchi sul selciato. In un’atmosfera crepuscolare il vetturino parla all’orecchio del suo cavallo e un ometto con carrettino carico di non si sa bene che cosa si addentra in uno dei tanti vicoli in eterna penombra. Scene del genere quali potevano descrivere magari Pio Panfili, Fomenico Ferri o Camillo Lambertini. Ma allora non c’erano macchine né filobus e una conversazione era possibile farla persino nel mezzo della strada. Questa idillica atmosfera borghigiana è oramai tramontata per sempre: incalza la metropoli. Il pervicace attaccamento di tanti nostalgici in una perduta dimensione spirituale della città – e Parise è degnamente inserito fra questi, coi suoi prediletti “notturni” che richiamano alla memoria tempi difficili, ma anche di grandi speranze – nasce proprio dall’urto brutale di una realtà che in brevissimo tempo si è sovrapposta a quella ben nota e fidata dei padri.

(L.Cavallari)

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Nelle vecchie case, negli scorci di paesi, nelle vie anguste e deserte illuminate dalla fioca luce delle lampade (unico segno visibile di civiltà) è avvertibile un senso di vuoto e di malinconico abbandono in cui Parise riesce a colmare, con la maestria della sua tavolozza, con il colore. La giornata di fatica è terminata, l’uomo è stanco ed il riposo necessario al completamento alla vita che riprenderà inevitabilmente al far del nuovo giorno. Sono questi gli attimi che l’artista fissa con insistenza nelle sue opere per ricordarci che alla tempesta seguirà sempre la sospirata luce.

(Raffaele Spalvieri)

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Ai limiti della “Cirenaica”, un popoloso quartiere della zona S.Vitale, nelle immediate vicinanze del glorioso campo Savena, in una tranquilla laterale di via Mondo, c’è il quartier generale di Remo Parise, eclettico personaggio che mi appresto a presentarvi, e naturalmente l’ho trovato intento ad una delle sue molteplici attività, nondimeno sono stato d’accordo con quella sincera cordialità, tutta petroniana, a lui peraltro tanto congeniale. Figlio d’arte, potrei definirlo, poiché il padre fu uno degli incisori e cesellatori più bravi e famosi dell’epoca in cui il pantografo era di là da venire, egli stesso orafo ed incisore durante i primi anni di lavoro, frequentò adolescente corsi di perfezionamento in vari istituti, per dedicarsi poi, più tardi, ad un’attività artigianale, che lo vede oggi con una notevole attrezzatura, ai primi posti fra le aziende del ramo. Nonostante però il notevole impegno che comprensibilmente ed inevitabilmente il suo lavoro comporta, Remo Parise non ha mai trascurato il suo primo amore: la pittura! Una passione a cui dedica ogni momento libero, un suo piccolo mondo racchiuso in una camera della sua casa in cui la atmosfera variopinta e distensiva che si respira è in netto contrasto con l’indaffarato dinamismo produttivo circostante. Ho visto alcune sculture in creta, pezzi belli, dalle linee armoniche, ma è del Parise pittore che qui mi voglio occupare. “Ho peregrinato per tutte le estemporanee di questi ultimi sei o sette anni ed ho collezionato una serie di medaglie e diplomi, inutili pezzi di carta che non hanno per me alcun significato, ed ora è il tempo che mostri la mia produzione di questo lungo periodo”. Così mi diceva Remo Parise, mentre io cercavo di penetrare sempre più in questo temperamento, indubbiamente forte e deciso e dotato di una spregiudicata inventiva. Egli ha cercato per molte strade ed in molti modi di dare risalto alla sua personalità. La stessa personalità che ho scoperto nei suoi quadri, dapprima alla ricerca della sua piena espressione, poi sempre più forte, decisa penetrante fino a manifestarsi nei suoi ultimi dipinti, in prevalenza scene notturne con lusi strane e suggestive…

(Canè e Garagnani)

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Se la pittura oltre ad essere uno stimolo visivo deve essere anche uno stimolo di pensiero e sentimento, Remo Parise è in piena regola ed ha fatto centro da tempo. Parise raffigura con vera maestria molti soggetti, ma quelli che affascinano di più sono i suoi notturni in cui, non solo produce delle suggestive visioni di una certa via o di un certo portico nella quiete della notte, ma esprime dei sentimenti e racconta delle storie dove vibra, costante, la poesia. Le storie stanno dietro quella finestra socchiusa, dove c’è la luce, forse un malato o un bimbo che piange… Stanno in fondo a quel portico dove sfugge una misteriosa figura di donna… Stanno sopra quel treno nella notte… Storie di affetti, di amori, di addii. Ecco la pienezza della pittura di Parise! Bella da vedere e ricca di sostanza, che fa presa sull’osservatore e lo riscalda perché in essa trova il calore dell’amicizia, l’affetto della famiglia, il respiro della via di ogni giorno.

(Giuseppe Gardenghi)

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…. Per Parise dipingere non è mai stato moto spontaneo ed immediato, ma il risultato di un laborioso processo, di una ricerca e sperimentazione intensa a chiarire, innanzitutto a se stesso, i termini e il significato della realtà che lo circonda. Non a caso infatti il momento più convincente della sua espressione artistica non è tanto nei paesaggi o nelle immagini di fondali marini quanto nelle scene notturne che compongono tra l’altro, gran parte della sua produzione. Vie, strade, cortili, tagliati con colori intensi e decisi sono all’improvviso percorsi da vividi bagliori o giacciono silenziosi e intimi sovrastanti da finestre da cui sottili sentinelle di luce testimoniano la presenza dell’invisibile umanità. Sono immagini sentite dall’artista con struggente malinconia e riproposte con semplicità e chiarezza.

(A.R.)

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LUMAIOLO DELLA MIA ANIMA
Il tuo andare per le strade
Folto di richiami, se incontri
L’ora che volge il tempo
Lontano, la antica memoria
I passi del fanciullo sul selciato.
La domanda sul primo lampione
Che accenderà la sera (sfondo
Pennello di pensieri) muta
La breve eternità, la tua mano
In miracolo di colori, schiusi balconi
Come lucciole nella notte.
Lumaiolo della tua anima!
Accendi una lampada, ancora
Che illumini immagine nuova
Una terra di radici.
E non essere soli.

(Marsilio da Lugo)

(A Remo Parise, amico, signore dell’arte pittorica, con stima e fiducia)

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IL QUADRO
Tela bianca, fredda, muta,
adagiata sul cavalletto
come una femmina pudica
eppur bramosa del penne fecondatore.
Lievi tocchi di carboncino
quasi a destar il fuoco del desiderio,
abbozzi come ardite carezze.
Poi,
il contatto del vellutato pennello
saturo di tinta da sparger
quale maschio approccio
per il morbido sfondo.
Tocchi dosati, policromici
tridimensionali.
Genesi, creazione.
Espressione armonica, logica interpretazione.
Connubio prefetto.
E’ NATO!

(Ercole Parise)